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La pesca del tonno

 

Dagli anni '70 del secolo scorso Cetara ha acquisito notorietà anche per la pesca del tonno rosso del Mediterraneo. Già sede di una tonnara a posta fissa fino alla metà degli anni '30, la sua flotta tonniera, fra le più consistenti in Italia e in Europa, continua a pescare il pregiato prodotto e a destinarlo soprattutto all'esportazione verso i mercati asiatici. Ciò non ha impedito di radicare nella gastronomia locale l'utilizzo del prodotto in numerose ricette che hanno segnato la forte valorizzazione in cucina del "maiale del mare".

I cetaresi, per alcuni secoli e fino al 1934, hanno esercitato la pesca del tonno con una rete fissa, posta ad Erchie, ad ovest di Cetara. Era una rete dalla complessa architettura che veniva calata nel mese di aprile e levata a settembre.

Questa tonnara disegnava una specie di gigantesca T e i tonni vi entravano attraverso due corridoi, due porte che permettevano l'ingresso dei pesci, ma ne impedivano l'uscita. I tonni, attraverso due corridoi, superando “ ‘e vocche ‘e puorte”, due porte che permettevano l’ingresso ma ne impedivano l’uscita, si dirigevano nella camera e, dopo un tempo variabile, entravano nella leva. Questa, sorretta a ponente da un vascello (caparràise), su indicazione della “guardia” che controllava la posizione dei cetacei, veniva chiusa a levante mediante il sollevamento di una porta operato da 10 pescatori che da un’altra barca, “ ‘o sciere”,  tiravano altrettante corde dette “navèlle”. A mano a mano che ‘o sciere, per mezzo dei due “viénte”, veniva avvicinato a ‘o caparaise, l’estremità di levante della leva, prima tirata su, veniva lasciata scorrere di nuovo verso il fondo. I tonni, ormai prigionieri in uno spazio angusto, potevano quindi essere facilmente issati a bordo. Una grandissima quantità di sugheri sosteneva tutta la rete, che, tranne la leva, era ancorata al fondo da grosse “màzzare”. La stabilità della leva era assicurata da quattro enormi macigni detti “muntagne” legati, due per ciascun lato, alla strada e chiamati rispettivamente “mascaràte” e “pezziente”. Tredici “croci”, una serie di corde poste perpendicalmente alla cora, guarnite da sugheri e fissate con màzzare al fondo, servivano a contrastare le forti correnti ed impedire lo spostamento del “peràle”. Il caporraise era ancorato a sei grosse màzzere, legate alla murata esterna, mentre la camera, poggiando su un fondo fangoso, era fissata, a levante, da sei ancore di una tonnellata ciascuna; la murata interna della barca accoglieva l’estremità di ponente della leva. Il capopesca, ritto su una barca a quattro remi, legata a ‘o mazzare r’o singhe, coordinava tutte le operazioni, delle quali la più pericolosa e delicata era certamente rappresentata dal posizionamento delle “muntagne”. Tutti i preparativi e le operazioni di allestimento delle reti venivano effettuati sulla spiaggia di Erchie. Per poter gestire tutte queste operazioni alcune famiglie di Cetara si trasferivano per i mesi della pesca proprio ad Erchie. A fine stagione avveniva “la tagliata r’ ‘a tunnara”: venivano recuperati i galleggianti, le ancore e qualche cima di canapa. Alla rete, fatta di canapa e di sparto (una graminacea dalle foglie coriacee, lunghe fino a sessanta centimetri, adatte alla preparazione dello spago), durante la permanenza in mare attecchivano molluschi ed alghe, rendendo non conveniente il recupero. La rete rimaneva sul fondo ed essendo formata di fibra vegetale, in poco tempo, si disfaceva e diventava cibo per i pesci.

Negli anni '70, invece, i cetaresi iniziano a praticare la pesca vagativa del tonno con grosse imbarcazioni aventi una stazza variante dalle 250 alle 435 tonnellate. Le antiche tecniche di pesca delle acciughe con le reti di circuizione vengono adattate alla pesca del tonno. Non si aspetta più il pesce a terra, ma le moderne imbarcazioni vanno a cercare i branchi di tonni in altura nel Tirreno, ma anche in Adriatico e nel Mediterraneo meridionale.

Il massimo della flotta cetarese si raggiunse all’inizio degli anni a ridosso del 1980 quando si arrivò al record di ben 22 pescherecci. Oggi sono rimaste solo alcune barche di altura, con stive profonde, torrette di avvistamento, gru elettriche per sollevare in modo agevole le reti. Comunque la flotta tonniera cetarese insieme a quella salernitana è seconda solo alle potenti navi giapponesi per tonnellaggio e per quantità di pesce pescato. Un aereo spesso accompagnava le tonnare per facilitare l’avvistamento dei branchi di tonni, ma attualmente questo ausilio dall’alto è proibito dalle nuove normative europee. Giunti sui banchi di pesci si calano le reti a circuizione che li intrappolano in un cilindro che pian piano si stringe.